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Art. 12/04/2011

Circoli

Sandro Guaschino & Casale Tricolore

Tra i tanti argomenti e spunti di riflessione emersi dal convegno ‘L’Unità d’Italia tra passato, presente e futuro’, organizzato sabato dal Comitato Amici del Monferrato, a irrompere devastante e lasciare il segno è stata l’incredibile e tremenda testimonianza di Pierino Cieno (nella foto), presidente dell’associazione ‘Una bandiera per la vita’. L’Italia gli ha rubato la vita, gli ha portato via tutto quel che aveva, soprattutto quel che non aveva ancora avuto: ha permesso che, ancora ragazzino, fosse relegato in un inferno senza muovere un dito. Eppure Cieno grida ancora fieramente «Viva l’Italia», conserva per la sua Patria un amore immenso, mai vacillato nonostante un calvario atroce.

La sua storia è agghiacciante: per quarant’anni è stato prigioniero in un campo di concentramento comunista in Albania, assieme a tanti altri compatrioti.

Le istituzioni italiane sapevano, ma fecero finta di niente. «Alla fine della seconda Guerra Mondiale -racconta Cieno- il Ministro degli Esteri, Carlo Sforza, mandò tanti tecnici italiani in Albania per ricostruire edifici e strade. Tra quegli uomini c’era anche mio padre. La popolazione albanese ci accolse a braccia aperte.

Ma nel 1951 fu piazzata una bomba nell’ambasciata russa dai servizi segreti albanesi, con la collaborazione proprio della Russia. Vennero incriminati gli italiani. Ne furono arrestati una ventina, tra cui mio padre, e vennero prese anche le loro famiglie. Inizialmente saremmo dovuti essere rimpatriati tutti quanti, ma poi ci fu un cambio d’ordine.

Gli uomini ritenuti responsabili furono imbarcati verso l’Italia. Qualche giorno dopo furono prelevati anche i famigliari, ma vennero rinchiusi in un campo di concentramento comunista. Ci sono rimasto per 40 anni, riuscendo a tornare nel mio Paese soltanto nel ‘90».

Il drammatico racconto continua lasciando basiti i presenti: «Nel campo eravamo considerati bestie fasciste, anche se fascisti non lo eravamo...» Stando alla ricostruzione di Cieno, la morte l’ha sfiorata ogni giorno per quarant’anni. «Dopo la caduta del muro di Berlino -prosegue- siamo stati portati in salvo».

Cieno non ha mai odiato la sua Patria: «La colpa è stata di Carlo Sforza, che era a conoscenza della bomba e Testimonianza di Cieno «Rinchiuso in un lager comunista per 40 anni» delle nostre deportazioni...».

Di fronte all’auditorio impietrito, Cieno non versa nemmeno una lacrima. È un uomo di ferro, di una corazza forgiata dalla sofferenza, più forte delle immani ingiustizie patite, più grande della paura e della disumanità. A farlo commuovere è l’amore per il suo Paese, che grida forte, mostrando il tricolore della sua associazione, accompagnando il gesto con «Viva l’Italia».

Sabato pomeriggio, nella Sala delle Lunette, l’incontro moderato dall’avvocato Alberto Costanzo, del Comitato Amici del Monferrato, ha visto anche l’intervento del saggista Luigi Vatta, sul tema dell’unità tradita nelle terre di Fiume, Istria e Dalmazia. Accompagnando la trattazione con un excursus storico, Vatta ha discusso sull’effettiva italianità dei territori, più culturale che politica, arrivando al tradimento dell’unità: «Al termine della prima Guerra Mondiale, gli alleati non rispettarono l’accordo di annettere Fiume all’Italia. Il Paese subì passivamente la decisione, tradendo così il concetto di unità».

I ricercatori Emilio Scarone e Federico Cavallero, che qualche mese fa aveva curato la mostra sulle foibe al Castello, hanno lanciato una proposta che potrebbe coinvolgere tutta la città: realizzare un censimento dei caduti casalesi durante la seconda Guerra Mondiale, sia per i soldati che per i civili vittime dei bombardamenti.

Presente in prima fila anche l’assessore alla cultura Giuliana Bussola e il sindaco Giorgio Demezzi che ha portato i saluti in apertura: «Non dimentichiamo che la parte politica che ora erige il tricolore a proprio simbolo, qualche anno addietro lo denigrava e rinnegava. La bandiera italiana saltava fuori soltanto in occasione delle partite della nazionale, poi fortunatamente abbiamo cominciato a riappropriarcene tutti».

Sull’importanza delle celebrazioni si è espresso il neodeputato Marco Botta: «Come piemontesi abbiamo un’attenzione particolare ai festeggiamenti, perché ci piace pensare che l’Unità l’abbiano fatta i grandi politici del Piemonte come Lanza. Dobbiamo diffondere lo spirito di unità con iniziative come queste».

A tutti i relatori gli organizzatori han regalato il libro “Monferrato tricolore”. Sabato mattina protagonisti del convegno sono stati lo storico Aldo Mola, che ha ripercorso le tappe che hanno portato all’unità, e il ricercatore storico Alberto Morera, che ha invitato a riflettere sull’eredità del Risorgimento.

 

F.G.

IL MONFERRATO

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